Arnaldo Caruso, a Brescia grandi passi avanti della ricerca italiana sul coronavirus

Il coronavirus si depotenzia? Lo scienziato, presidente dei Virologi italiani, Ordinario all’Università e direttore della Microbiologia agli Spedali Civili, è ottimista dopo l’isolamento di una variante meno aggressiva.

di Roberto Messina

In questi ultimi difficili mesi (come negli altri) Arnaldo Caruso,  professore ordinario di Microbiologia all’Università di Brescia, direttore del reparto di Microbiologia degli Spedali Civili di Brescia, scienziato, ricercatore e presidente della Società Italiana di Virologia (insomma, una vera autorità del campo) è rimasto fedele a sé stesso: uno scienziato “galileiano”, uno studioso, un medico equilibrato e “misurato” che parla solo e sempre a proposito, che “dice quando sa”, non tendendo mai a pronosticare, a indovinare, a vaticinare, ma appunto a esprimere quello che i fatti, la scienza, la sperimentazione, il metodo, le “prove”, gli evidenziano.

Non per voler male a nessuno, ma di “profezie” avventate, ipotesi e scenari orwelliani (e credo molti siano concordi con ciò) in questo tempo ce ne hanno messi davanti, fatti sentire (e subire), tanti, troppi. La conquista della visibilità mediatica, si sa, può talvolta fare brutti scherzi. E succede che si possano smarrire misura, approfondimento, consapevolezza, fondatezza. La “diretta”, può allora diventare aun ring: per imporre la forza verbale, o al contrario, per finire dritti al tappeto.

Arnaldo Caruso, che pure nella sua qualità di Presidente dei Virologi italiani avremmo potuto vedere ogni giorno discettare in tv, ha invece scelto di parlare poco. E non per essere anti-allarmista e anti-catastrofista (com’è), ma per intervenire solo quando chiamato e necessario. E infatti, è andato sullo schermo, tirato in ballo solo per le grandi questioni, e per spiegare le ultime eclatanti evidenze dei suoi studi.

Nel generalmente incredulo avvio della pandemia, quando si era tutti scettici sulla necessità di “chiudere”, Caruso è stato tra i primi ad invitare, invece e decisamente, a non abbassare la guardia, al fine di evitare sicuri contagi e l’aumento esponenziale della curva infettiva. Poi, tra i primi ad aver indicato la necessità di misure di contenimento allargate a tutt’Italia, per combattere una sfida senza precedenti. Tra i primi ad aver isolato il virus. Ad aver parlato di una probabile attenuazione del ceppo virale con l’estate. Ad aver indicato il limitare la socialità, come il metodo più efficace. Addirittura tra i primi ad aver parlato di pandemia, anticipando la ritardata dichiarazione della stessa Oms. Infine, tra i primi ad aver “avvertito” sui lunghi tempi necessari per un vaccino, con la necessità di puntare presto e veloci su farmaci antivirali da perfezionare per lo specifico. Arnaldo Caruso, ha detto e spiegato tante cose importanti: ma come accennato, alla sua maniera, con misura, cautela e sostanziali prove alla mano…

Ora la sua “popolarità” (suo malgrado, malgrado la sua riservatezza) ha subìto una brusca accelerata ed è sui giornali di mezzo mondo da quando ha presentato le prove che il virus ha ridotto la sua capacità di trasmissione e contagio. Insieme ai ricercatori del suo laboratorio di Microbiologia dell’Asst Spedali Civili e quelli dell’Ateneo bresciano, ha infatti isolato una variante estremamente meno potente di Sars-Cov-2: “I ceppi virali che abbiamo studiato, isolato e sequenziato – ci ha spiegato il prof. Caruso raggiunto al telefono a Brescia – sono in grado di sterminare le cellule bersaglio in due, tre giorni. La variante, invece, di giorni ne impiega sei, esattamente il doppio. Ne abbiamo voluto parlare prima della pubblicazione dello studio, per lanciare un messaggio di speranza, anche in vista di una probabile recrudescenza del Sars-Cov-2 in autunno, quando comunque avremo a che fare con varianti virali più attenuate”.

Il virus non sembrerebbe, dunque, come si sente dire da più parti, “diventato più buono”. Avrebbe “solo” (ma non è poco) ridotto la sua forza contagiosa, mutando come corpuscolo meno potente. I tamponi degli ultimi giorni hanno fatto registrare più bassa carica virale, ma non si sa – chiarisce Caruso -: “in quale misura circoli questa variante e se sia geneticamente diversa dalle altre. Potrebbe essere la base di una futura mutazione di un virus meno aggressivo. La prudenza è però necessaria, perché non si può escludere che la variante di virus indebolita possa ricombinarsi geneticamente, recuperando aggressività in una probabile prossima nuova ondata autunnale. Teniamo presente che i virus non sono scomparsi. Ci sono, in giro. Si attenuano, ma possono tornare. Sono comunque ottimista. La sfida resta comunque per la stagione invernale e occorre ancora molta attenzione, perché il ceppo pandemico, quello che ha dominato e purtroppo piegato la scena mondiale, potrebbe tornare, se non sarà surclassato, com’è probabile, da varianti di virus con potenziale meno aggressivo. Entreranno poi naturalmente in gioco, fattori altrettanto importanti, i nuovi farmaci meglio testati, e le stesse difese immunitarie dell’organismo che vanno rafforzandosi. Il virus muta e si ‘adatta’. E si ‘adatta’ al virus lo stesso organismo”.

La prospettiva sembra dunque buona. Ma – è questo il sostanziale messaggio del prof. Caruso – non dobbiamo farci trovare impreparati all’eventuale ritorno del coronavirus, nell’attesa che “muti” e che si possa contrastarlo assai più facilmente.