L’immagine ci porta a Brescia, una formidabile e orgogliosa capitale della cucina italiana. Per anni si è opposta al fast food. La sua cucina tradizionale apprezzata per la qualità dei prodotti e per le ricette di tradizione vanta numerosi riconoscimenti. Brescia è l’immagine della concreta e laboriosa impresa lombarda… grazie, diciamolo pure alle nostre care Partite IVA.
La cultura di fare Impresa. Ma adesso con il Covid anche nella ricca Brescia arrivano i problemi. Temo la resa.
Lo vedo in questa immagine presa nel giorno simbolico di protesta dei ristoratori…. Ristoranti chiusi. E locali da asporto aperti. E chi si può organizzare, se non il gigante americano per entrare in “nuovi mercati”? Siamo in Piazza Vittoria… una location che sarebbe straordinaria, ma piegata da scelte scellerate dell’amministrazione comunale. E non voglio certo parlarvi qui del Bigio… Ma dirvi che le Piazze vivono per le funzioni che attivano.
Non si vive e non si muore di solo Covid… Un Mc che vende “cibo spazzatura” attira giovani e tanti emarginati; pone un problema di salute alimentare; porta economia fuori dal territorio. Che piaccia o meno la durezza del linguaggio, è questo il quadro: la ristorazione nostrana soffre e chiude; il modello fast food delle grandi company internazionali cresce. Il franchisee (affiliato) paga il franchisor (il brand)… che è multinazionale.
Dobbiamo dire che da tempo il gruppo punta a supply chain locali. Ma resta una multinazionale. E la foto esprime precariato e comportamenti standardizzati. Non certo continuità e famiglia come un buon ristorante italiano.
Un disastro. Per tutti. Per il territorio. Intanto #ioapro diciamolo pure ha avuto scarso successo. Molte le ragioni. Porsi fuori dalla legge fa sempre paura e spesso è sbagliato. La paura del virus domina oramai le nostre vite. E il cibo ce lo compriamo e ce lo facciamo portare a casa.
Ma quanto durerà? Quanto dureremo così?.
di Massimo Lucidi