Nel mondo delle birre artigianali  irrompe il sorgo, naturalmente senza glutine

Nel mondo delle birre artigianali irrompe il sorgo, naturalmente senza glutine

Cremona, 10 giugno 2020 – Cosa lega l’architettura alla produzione di birra artigianale? La risposta è scontata: nulla. In realtà non è così. Tiziano Tanzi è un architetto, alcuni anni fa progettò la costruzione di un’azienda sementiera il cui direttore, durante i loro incontri, lo omaggiava di una birra artigianale che produceva lui stesso. A Tanzi quella birra piaceva, la curiosità su quel tipo di produzione iniziò a farsi strada, il rapporto tra i due professionisti si trasformò in amicizia e fu allora che il direttore dell’azienda propose a Tiziano Tanzi di provare a produrre insieme una birra ottenuta esclusivamente dal sorgo. “Di questa coltura non sapevo nulla – spiega – se non che è uno dei 5 cereali al mondo priva di glutine”. Da allora sono trascorsi poco più di tre anni, ma nel frattempo Tiziano Tanzi ha realizzato un piccolo birrificio artigianale a Fidenza, provincia di Parma, dove produce birra di sorgo, particolarmente indicata per chi soffre di intolleranze alimentari o di celiachia e che difficilmente, proprio perché contiene glutine, potrebbe gustare una birra classica.

Dai 25 hl della preproduzione del primo anno, il 2017, la produzione vera e propria è arrivata ai 95 hl del 2019“con una previsione per il 2020 di raggiungere i 110 hl – sottolinea Tanzi – compatibilmente con il difficile momento che stiamo tutti vivendo a causa dell’emergenza sanitaria Covid 19. Infatti, proprio all’inizio di quest’anno stavamo consolidando alcuni rapporti commerciali con il mondo della ristorazione, ma tutto si è arenato con l’esplosione dell’epidemia. Speriamo di poter riannodare i fili di un dialogo che aveva tutte le caratteristiche per sfociare in soluzioni positive, forti soprattutto di essere riusciti in questi pochi anni a consolidare la nostra presenza nel mondo delle intolleranze alimentari sull’intero territorio nazionale e di essere gli unici, in Italia, a produrre una birra di sorgo preservando la produzione dal rischio di contaminazioni crociate”.

In termini di valore, la birra di sorgo prodotta da Tiziano Tanzi si colloca nella fascia medio-alta all’interno del segmento artigianale, dove altre birre senza glutine sono comunque presenti, anche se nessuna lo è all’origine come quella di sorgo. Il motivo lo spiega Tanzi: “Durante la produzione, alle birre artigianali che dichiarano l’assenza di glutine viene aggiunto un enzima chiarificante che fa precipitare tutte le proteine compreso il glutine, che nel sorgo è invece assente in natura”. Tre le referenze base di birra prodotte, a cui si aggiungono una versione natalizia leggermente più alcolica e una un po’ più acida. Il mondo delle birre artigianali è estremamente variegato e al Bontà, il Salone delle eccellenze enogastronomiche dei territori in calendario a Cremona dal 13 al 16 novembre prossimi, troverà ampio spazio per degustazioni e approfondimenti conoscitivi riservati al vasto e appassionato pubblico che calcherà i padiglioni del quartiere fieristico. Tiziano Tanzi comunque non ha smesso di fare l’architetto e vive il suo nuovo ruolo di produttore di birra come un’attività parallela di cui – afferma – “sono particolarmente orgoglioso e convinto di proseguire”.

Per informazioni:
Anna Mossini
Giornalista
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Il grande Circo contemporaneo  in scena all’aperto a Lonato in Festival

Il grande Circo contemporaneo in scena all’aperto a Lonato in Festival

Il grande Circo contemporaneo nei 4 fine settimana dal 31 luglio al 23 agosto 2020 e spettacoli di marionette e giocoleria nelle piazze delle frazioni dall’11 al 19 agosto.

Quattro week end dedicati al grande Circo contemporaneo, all’insegna della magia e del divertimento
per grandi e piccoli: Lonato in Festival non rinuncia all’ormai tradizionale appuntamento estivo che nelle passate edizioni proponeva un centinaio di spettacoli anche di artisti di strada, teatro di figura, musica e gruppi etnici e, nonostante le grandi problematiche legate al post pandemia, mette in scena in agosto la sua nona edizione, pur in forma necessariamente rivista e ridotta. La cornice resta la stessa, ovvero la Rocca Visconteo Veneta di Lonato del Garda (in provincia di Brescia), una fra le più imponenti fortezze del Nord Italia, da cui si gode un’impareggiabile vista sul lago.

Un’ambientazione storica di grande suggestione, che nei 4 fine settimana dal 31 luglio al 23 agosto ospiterà una rassegna di Circo contemporaneo, durante la quale si esibiranno all’aperto le più prestigiose compagnie italiane, tra cui non mancheranno Circo El Grito, Circo Zoé e Side Kunst Cirque. Ogni compagnia sarà protagonista di un week end e il suo spettacolo sarà replicato dal venerdì alla domenica, alle ore 21.00.

 

Tenendo conto delle limitazioni dettate dai protocolli sanitari di settore e per rispettare al massimo le normative di distanziamento, quest’anno ci sarà un’unica postazione, invece delle molteplici che c’erano gli anni scorsi: una spaziosa tribuna all’aperto, attrezzata in base alle prescrizioni Covid-19, con una capienza massima di 200 persone. La prenotazione sarà obbligatoria.

Non mancheranno gli appuntamenti nelle frazioni dall’11 al 19 agosto, con spettacoli di marionette (particolarmente adatti ai bambini) e giocoleria nelle piazze adeguatamente allestite, per portare un messaggio di ripartenza. Gli eventi si terranno alle 20.30 a Sedena, Centenaro, Esenta, Lonato 2.

 

INFORMAZIONI

Fondazione Ugo Da Como

Via Rocca, 2 – Lonato del Garda (Brescia)

Tel. 0039 0309130060 – www.lonatoinfestival.itinfo@lonatoinfestival.it

 

Ufficio Stampa – Studio Agorà

Si parte!!! Accendiamo i motori e parcheggiamo a  MODENA MOTOR GALLERY il 26-27 Settembre 2020!

Si parte!!! Accendiamo i motori e parcheggiamo a MODENA MOTOR GALLERY il 26-27 Settembre 2020!

Siamo LA PRIMA mostra mercato di auto, moto, memorabilia, editoria, ricambi dopo 8 mesi di fiere spostate, annullate e tre mesi di ritiro nelle proprie case!
Modena Motor Gallery è il Salotto Buono del motorismo d’epoca, il luogo dove vivere una emozione, incontrare appassionati e personaggi che hanno fatto la storia del motorismo.

Passato e Futuro si incontrano nel cuore della Motor Valley.

ModenaFiere garantisce la massima sicurezza e la piacevole godibilità della manifestazione.

I nostri prezzi sono fermi da 5 anni e non aumentano, nonostante i costi di adeguamento per garantire la piena sicurezza e per i visitatori sconti nelle prenotazioni on line.

Grande investimento pubblicitario promozionale da luglio a settembre.

Ritroviamoci a Modena Motor Gallery il 26-27 Settembre 2020!

GRUPPO VERONAFIERE AL LAVORO SULLA FASE 3

GRUPPO VERONAFIERE AL LAVORO SULLA FASE 3

Nel secondo semestre 2020 in calendario 21 manifestazioni in Italia e all’estero.

(Verona, 8 giugno 2020) Una nuova fiera per la “nuova normalità”. Il Consiglio di amministrazione del Gruppo Veronafiere conferma il programma del secondo semestre 2020: dodici importanti appuntamenti in Italia e nove all’estero che inaugurano una rinnovata modalità di organizzare manifestazioni, fortemente orientate a salvaguardare il business delle aziende clienti con format agili, digitali e sicuri.

«La ripartenza sarà un momento fondamentale per la ricostruzione economica del Paese – dice Maurizio Danese, presidente di Veronafiere –. E noi vogliamo farci trovare pronti per supportare al meglio la promozione delle filiere industriali che presidiamo, ricordando che lo strumento fieristico moltiplica fino a 10 volte l’investimento fatto dagli espositori, genera il 50% dell’export delle pmi italiane e un valore complessivo a livello mondiale superiore ai 250 miliardi di euro».

«In questi mesi abbiamo lavorato pensando già alla Fase 3, con la formulazione delle manifestazioni secondo un perimetro straordinario per un tempo eccezionale che non consentirà per tutto il 2020 di progettare fiere secondo gli standard che conosciamo. Tuttavia, il mercato ha bisogno di un motore già acceso per garantire la ripartenza ma soprattutto rilancio, nuovi posizionamenti internazionali in una road map dell’export stravolta dall’emergenza sanitaria globale – sottolinea Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere –. Per questo, abbiamo tenuto aperto il dialogo con i nostri clienti e i mercati attraverso numerose iniziative digital, perché oggi più che mai il nostro è un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’economia che necessita di un nuovo paradigma fisico-digitale e di un’offerta complementare per il business».

Completamente rimodulato, quindi, il calendario fieristico della seconda metà dell’anno, con un notevole sforzo logistico per far combaciare la stagionalità delle manifestazioni, con spostamenti di data, start-up e tempi di rotazione del quartiere e dei padiglioni. Mentre il calendario degli eventi e convegnistico, altro importante asset di Veronafiere, riparte il 18 giugno con il Vinitaly Design Int’l Packaging Competition a cui segue il 19 giugno l’assemblea del Consorzio del Grana Padano.

Il lockdown è servito anche per ridisegnare format fieristici ampiamente consolidati, re-impostandoli alla luce delle nuove misure di sicurezza e distanziamento sociale.

È il caso, ad esempio, di Fieracavalli, che per la prima volta si svolge su due fine settimana consecutivi, per diluire gli ingressi, di wine2wine che, al tradizionale business forum, affianca un momento espositivo, o di Marmomac, in scena nel 2020 con un’edizione speciale tarata sulle esigenze contingenti delle imprese del settore.

È in attesa della validazione da parte delle istituzioni preposte, inoltre, il nuovo protocollo #safebusiness per la tutela della salute di espositori e visitatori, sviluppato insieme ai principali operatori fieristici italiani.

Tra le misure di prevenzione: biglietteria esclusivamente online e ingressi giornalieri contingentati; filtri ai cancelli con termoscanner; nuova architettura interna degli spazi per dirigere i flussi di visitatori in entrata ed uscita; interventi di sanificazione degli ambienti; formazione del personale; presidi medici permanenti, protocolli di emergenza appositi e collaborazione con le migliori realtà sanitarie del territorio.

Allo studio anche rassegne più smart, grazie alla tecnologia. Il Covid19 ha soltanto impresso una ulteriore accelerazione ad un processo che Veronafiere aveva già attivato, investendo importanti risorse nella digital transformation.
Una rivoluzione che parte dai portali web delle singole manifestazioni che diventano per Vinitaly e Marmomac, delle directory interattive e multilingua, per arrivare alle agende digitali per programmare appuntamenti b2b, ai webinar per la formazione permanente o alle app di geolocalizzazione con cui muoversi agilmente e in sicurezza tra gli stand.

Veronafiere, inoltre, sta realizzando strumenti virtuali di incontro per permettere alle aziende di dialogare con i buyer esteri e mantenere aperto un canale di comunicazione con i mercati di maggiore interesse, che ancora non possono essere presenti fisicamente alla rassegna.
Tutto questo con l’obiettivo finale di creare eventi integrati, in grado di fondere la parte fisica con quella digitale e connettere 365 giorni all’anno le community dei settori di riferimento.

PROGRAMMA II SEMESTRE 2020
Italia
Marmomac: 30 settembre-3 ottobre
Samoter: 21-25 ottobre
Asphaltica: 21-25 ottobre
Oil&nonOil: 21-23 ottobre
Innovabiomed: 26-27 ottobre
Fieracavalli: 5-8 novembre e 13-15 novembre
Festival del Futuro: 19-21 novembre
wine2wine Forum&Exhibition: 22-24 novembre
B/Open: 23-24 novembre
Job&Orienta: 25-27 novembre
Verona Mineral Show Geo Shop: 26-28 novembre
ArtVerona: 11-13 dicembre

Estero
Bellavita Expo Bangkok: 9-12 settembre
Vinitaly China Road Show – Shanghai, Xiamen, Chengdu: 14-18 settembre
Wine South America: 23-25 settembre
Living Italy@Design Pechino: 23-26 settembre
Vinitaly International Russia: 26 e 28 ottobre
Vinitaly International Hong Kong: 5-7 novembre
Wine to Asia: 9-11 novembre
Living Italy@Design Shanghai: 26-29 novembre
Bellavita Expo Città del Messico: 2-4 dicembre

(calendario suscettibile di variazioni)

Otto minuti e quarantasei secondi

Otto minuti e quarantasei secondi

Otto minuti e quarantasei secondi.

Per otto minuti e quarantasei secondi, Derek Chauvin, poliziotto di Minneapolis, Minnesota, ha forzato il suo ginocchio e con esso il peso del suo corpo sul collo di George Floyd, quarantaseienne Afroamericano.

In questi otto minuti e quarantasei secondi, Floyd ha usato tutta la forza che gli restava per implorare, chiamando ‘Mamma!’ ed esclamando “I can’t breathe, please, I can’t breathe”. Lo stesso “I can’t breathe”, ‘non riesco a respirare’ di Eric Garner, soffocato a morte a New York nel 2014 dal poliziotto Daniel Pantaleo durante un arresto per sospetto di vendita di sigarette di contrabbando. Lo stesso “I can’t breathe” stampato sulle maglie di molti giocatori del NBA, frase divenuta motto di un movimento omonimo nazionale e che ha poi dato vita a Black Lives Matter (Le vite nere contano).

Qualcuno, allora come in questi giorni, tenta di rispondere all’affermazione ‘Le vite nere contano’ estendendola a, “All Lives Matter”, “Tutte le vite contano”. Impossibile confutare o contrastare la validità teoretica di questa frase, principio assoluto ed inderogabile di quasi tutti gli ordinamenti giuridici ed iscritta nei principali Trattati internazionali che racchiudono i fondamenti dell’assetto morale ed etico dei Paesi firmatari.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata a Parigi dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, di cui gli Stati Uniti sono tra i fondatori, sancisce all’articolo 3 che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”.

La stessa Dichiarazione d’Indipendenza degli USA, che risale addirittura al 1776, dichiara notoriamente che “tutti gli uomini sono creati eguali, muniti dal loro Creatore di certi diritti inalienabili tra cui la libertà, la giustizia e la ricerca della felicità”.

La frase “Black Lives Matter” appare quindi talmente ovvia, umanamente quanto legalmente, da essere ridondante e perciò tendenziosa.

È però interessante analizzare la ciò che il legislatore Statunitense intendeva quando redasse e firmò queste disposizioni.

La Dichiarazione d’Indipendenza fu firmata da Thomas Jefferson, primo Presidente degli (ormai indipendenti) Stati Uniti d’America, il quale ebbe più di seicento persone schiavizzate al suo servizio durante la sua vita.

La Dichiarazione di Parigi risale 1948, sei anni prima che nella sentenza Brown v. Comitato dell’Educazione, 347 U.S. 483, la Corte Suprema superasse e quindi, di fatto, rendesse illegale (trattandosi di un sistema basato sul precedente giurisprudenziale) la segregazione di bianchi e neri al livello statale nell’educazione pubblica. Non fu fino al 1964, dopo l’uccisione da parte dei servizi segreti di Martin Luther King e Malcom X, che L’Atto dei Diritti Civili venne approvato a livello federale, annullando quindi tutte le leggi statali che imponevano la segregazione razzista. Fu solo nel 1965 che le persone nere ebbero effettivamente il diritto di voto, dopo che furono abolite le terrificanti ed aberranti leggi “Jim Crow” nel Sud controllato dal KKK e i cavilli legali congegnati per impedire l’esecuzione del XV emendamento, che avrebbe dovuto estendere il suffragio agli uomini afroamericani già nel 1870.

Fino al 1917, le politiche di urbanistica potevano essere – ed erano – legalmente ideate in modo da isolare i neri; fu così che si crearono i “ghetti”, zone a bassa affluenza economica, dimenticate dallo Stato che ci entrava – e ci entra – solo con la polizia. La scarsa qualità dell’educazione, dovuta al sistema di attribuzione di fondi controintuitivo, la strategica criminalizzazione di determinati comportamenti, il totale abbandono istituzionale, le pessime condizioni abitative ed il costante razzismo interpersonale e delle autorità, hanno allargato il divario tra bianchi e neri, quest’ultimi già svantaggiati da secoli di schiavitù, al termine dei quali non sono stati forniti degli strumenti necessari per affrontare la vita in “libertà” mentre i loro ex “proprietari” (come se si potesse mai davvero possedere un essere umano) furono indennizzati per la loro perdita di “forza lavoro”.

Il razzismo si era insediato talmente tanto nel tessuto, nella fibra sociale del Paese, da far sì che i cittadini si sostituissero allo Stato con l’assordantemente tacita complicità dello stesso, emanando regole per i proprietari terrieri o di immobili, di regola bianchi, che vietavano loro di vendere o affittare a neri in determinate zone delle città, la violazione di queste disposizioni substatali era sanzionata come se avessero forza di legge.

Il sistema di realtà statunitense è stato fuorviato, o meglio, originariamente fondato, sul razzismo, che offriva alla massa bianca povera una sorta di consolazione divina, quella di, almeno, non essere neri, i quali erano invece destinati ad occupare la base della piramide sociale, anche questo per ordine cosmico trascendentale delle cose.

Ovviamente il tempo è passato e la legge si è indirizzata verso un concetto di eguaglianza reale e sostanziale, così come ha fatto la società civile, come esemplificato dall’elezione di Obama. Ma dopo Obama, ad insediarsi alla Casa Bianca è stato Donald Trump, un uomo che era stato denunciato per essersi rifiutato di affittare a neri negli anni 80, tra le altre cose, con legami piuttosto espliciti alla destra neonazista.

L’elezione di Trump ha palesato una verità ovvia: gli otto anni di Presidente nero non hanno cancellato il razzismo, né hanno radicalmente mutato l’ineguaglianza che ostacola il sogno americano.

Non è quindi meramente una questione di colore di pelle o colore politico, come dimostrò la presidenza Clinton, democratico la cui legislazione di diritto penale fu il coronamento di quelle dei suoi predecessori repubblicani, notoriamente Reagan e Nixon, che avevano iniziato il processo dell’incarcerazione di massa degli afroamericani e dei latini attraverso politiche strategicamente razziste e violente come lo “stop and frisk” di New York, che di fatto sospende l’habeas corpus, permettendo alla polizia di detenere temporaneamente e interrogare persone scelte anche in maniera possibilmente aleatoria, senza che quindi si abbia nulla di più contro di esse di un sospetto che non deve nemmeno essere formulato, strutturato o spiegato e può quindi benissimo essere basato sul nulla o non esistere del tutto.

Gli afroamericani, tutti quanti, a prescindere dalla loro condizione socioeconomica, vivono nel giustificato terrore della polizia, che storicamente ed attualmente è addestrata all’azione più che alla reazione e che ha palesemente un implicito pregiudizio, rafforzato dalla rappresentazione mediatica, circa la maggiore pericolosità dei neri o circa la minore dignità intrinseca delle loro stesse vite.

Pregiudizio che non solo fa uccidere, ma fa anche incarcerare ingiustamente.

Esistono miriadi di casi esemplari di persone nere innocenti private coattivamente della libertà perché i funzionari di un sistema convinto della loro pericolosità hanno trasferito aprioristicamente questa convinzione sulla loro colpevolezza nella fattispecie. Famoso è quello dei “Central Park Five“, cinque ragazzi tra i quattordici e i sedici anni che hanno passato anni in prigione per uno stupro avvenuto nel 1990 che non avevano commesso e contro i quali la polizia non aveva alcuna prova se non le confessioni estorte, attraverso violenza e minacce, ai ragazzi stessi, scelti praticamente a caso semplicemente per il colore della loro pelle, che li avrebbe resi credibili come mostri agli occhi dei media e della società. Altro caso famoso è Kalief Browder, sedicenne newyorkese fermato dalla polizia che lo accusava di aver rubato uno zainetto due settimane prima ed inviato per tre anni a Rikers Island, isola adibita a carcere la cui chiusura è in programma in virtù degli orrori che vi accadono. Browder passò anni tra i pestaggi di gruppo e l’isolamento in una stanza minuscola, senza luci, con solo dei ratti enormi come compagnia, per ventiquattro ore al giorno per mesi di seguito, pratica dichiarata tortura dall’ONU; tutto questo mentre aspettava il processo del caso per il quale rifiutava di dichiararsi falsamente colpevole, aspettava in prigione perché la sua famiglia non poteva permettersi di scarcerarlo pagando una cauzione. Kalief uscì e dopo poco si suicidò a ventuno anni, schiacciato dal peso sovrumano del trauma e dramma disumani che gli erano stati inflitti da questo sistema che non fu creato per lui, ma contro di lui.

Uscito di prigione, Browder, come tutti, non ricevette altro che gli effetti personali con cui era stato arrestato, la sua fedina penale fu sporcata, cosa che gli imponeva una maggiorazione di otto volte del premio di assicurazione sanitaria, l’impossibilità dell’assegnazione di una casa popolare, il pregiudizio che lo lasciava nell’effettiva impossibilità di trovare un lavoro o un’abitazione; insomma, le condizioni perfette per spingere una persona a delinquere, anche se non l’aveva mai fatto prima, anche se non lo voleva fare, tanto ha già imparato a combattere in carcere, tanto ha già appreso le regole ferree del codice della strada in carcere, tanto è già morto in carcere.

La gravità del trauma trans-generazionale è immensa, e modula e condiziona non solo l’idea che gli afroamericani hanno del mondo e di se stessi, ma anche la loro gestualità, i loro comportamenti, i discorsi che affrontano con i loro figli, primo tra tutti: cosa fare se fermati dalla polizia.

La portata del problema è enorme considerando che gli Stati Uniti hanno la prima popolazione carceraria al mondo con 2,3 milioni di persone, di cui il 37% sono neri, nonostante questo gruppo demografico costituisca solo il 14% dei cittadini.

George Floyd era stato arrestato perché aveva pagato con una banconota falsa, stando a quanto dicono. Inizialmente, la polizia aveva giustificato il suo delirante omicidio dicendo che l’uomo avesse resistito all’arresto in maniera violenta. Il giorno dopo, video di passanti e di telecamere di sorveglianza hanno dimostrato che, invece, George era già stato pestato da quattro agenti nella camionetta prima di essere vigliaccamente e brutalmente soffocato e che era uscito dal negozio camminando, composto ed in silenzio, non aveva quindi mai resistito all’arresto.

Grazie alla tecnologia, che permette a chiunque di essere regista della storia e ai social media, che permettono di esserne spettatori e testimoni, George avrà giustizia, ma i diciotto uomini e donne che avevano già segnalato abusi da parte di Chauvin e non avevano il video, no. Ma coloro che sono stati freddati durante un controllo di routine perché il poliziotto pensava che stessero prendendo una pistola mentre invece stavano allungando le mani per prendere la patente come era stato loro richiesto, no. Ma Tamir Rice, ucciso a dodici anni mentre camminava per strada senza che il poliziotto che ne fu colpevole fosse mai neppure arrestato, no. Ma i ragazzini del South Side di Chicago che sopravvivono in povertà, resistendo alle lusinghe della vita da criminale con tanto (illusorio) potere e tanti (veri) soldi, per poi essere fermati, insultati e picchiati dalla polizia per il solo fatto di essere neri, no. Ma tutti coloro che sono stati arrestati per raggiungere una quota della polizia o del carcere privato, che guadagna per ogni essere umano privato della libertà tra le sue mura, no.

Il colore è una piaga che ha distrutto le vite morali di bianchi e neri negli Stati Uniti e George Floyd, insieme con le altre ventinove persone di colore uccise dalla polizia dopo di lui, ne sono una prova, per niente sorprendente. Ciò che è sorprendente è la risposta internazionale, emozionale e razionale alla barbarie assoluta del suo omicidio, che funge da speranza per un futuro libero dalla pandemia del razzismo.  “And still, I rise”, scriveva Maya Angelou, e ancora innalzeremo, tutti insieme, tutti uniti, bianchi, neri, asiatici, indigeni, ogni volta che sarà necessario finché non lo sarà più.

Fino a quel giorno, Black Lives Matter.

 

A cura di Francesca Sanneh