L’ictus cerebrale rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa assoluta di disabilità: un triste primato. In Italia ogni anno, circa 185 mila persone vengono colpite da ICTUS cerebrale. Di queste 150 mila sono i nuovi casi, mentre 35 mila sono gli ICTUS che si ripetono dopo il primo episodio. In provincia di Brescia ci sono circa tre mila casi di ictus all’anno, e l’incidenza è proporzionale all’età della popolazione: è bassa fino a 40-45 anni, poi aumenta gradualmente per impennarsi dopo i 70 anni. L’ictus può essere ischemico (80% dei casi) legato all’occlusione di un’arteria cerebrale, o emorragico (20% dei casi) dovuto alla rottura di un vaso cerebrale. Il nuovo Coronavirus, Covid-19, è entrato prepotentemente nella vita di ognuno di noi e le sue complicazioni hanno interessato anche il versante neurologico, ed in particolare quello delle malattie cerebrovascolari.
Nonostante ciò, nessun paziente è mai stato abbandonato a sé stesso, come ci conferma il Direttore della Neurologia Vascolare e del Dipar- timento di Scienze Neurologiche e della Visione dell’ASST Spedali Civili di Brescia, dott. Mauro Magoni.
Il reparto che dirige è un importante centro Hub Regionale e un punto di riferimento in tutta Italia per la terapia acuta contro l’ictus ischemico, grazie alla quale la prognosi del paziente è nettamente migliorata. Ci può spiegare meglio di cosa si tratta?
«Grazie all’utilizzo di un farmaco trombolitico che scioglie il trombo e alla possibilità di eseguire la trombectomia meccanica nell’occlusione dei grossi vasi, ovvero di entrare nell’arteria aspirando il coagulo che ostruisce il flusso, abbiamo avuto un netto miglioramento della prognosi del paziente colpito da ictus, che può anche avere un recupero completo del deficit neurologico. Questa doppia terapia si chiama Terapia Combinata, che è possibile se il paziente giunge rapidamente in ospedale, entro le sei ore dall’esordio dei sintomi».
E se ciò non dovesse avvenire?
«Nel caso in cui il paziente non dovesse giungere in ospedale in tempo per effettuare la Terapia Combinata, si procederà con il ricovero in Stroke Unit e con la somministrazione della terapia farmacologica adeguata. Il tutto accompagnato dal monitoraggio accurato del paziente, importante per scongiurare le possibili complicanze, come la polmonite, l’infarto cardiaco od un’embolia polmonare, che potrebbero portare al decesso del paziente».
Quanti pazienti sono stati trattati lo scorso anno con la Terapia Combinata?
«Dagli ultimi dati disponibili, il 33% dei ricoverati è stato trattato con questa terapia».
Da alcuni studi emerge una correlazione tra infezione da covid-19 e patologie cerebro-vascolari. È così?
«Purtroppo sì: abbiamo osservato che ci sono stati casi di pazienti covid positivi che hanno avuto un ictus legato proprio all’infezione. Il covid-19, infatti, determina un’alterazione dei fattori della coagulazione e un’iper-infiammazione, generando complicanze quali l’ictus, ma anche l’embolia polmonare e l’infarto cardiaco. A questi pazienti covid positivi, le terapie effettuate, purtroppo, non sempre hanno sortito gli effetti desiderati».
In che senso?
«Un paziente covid positivo, spesso parte già con un quadro clinico devastante, aggravato, per giunta, dalla complicanza dell’ictus. Se un paziente con insufficienza respiratoria da covid viene colpito da ictus e, spesso, presenta anche fenomeni di tipo emorragico a livello cerebrale, allora nono- stante le terapie il tasso di mortalità sale e può raggiungere valori dieci volte superiore rispetto ad un paziente in condizioni normali, ovvero covid negativo».
Direttore come è stato affrontata la gestione del paziente covid positivo con complicanze neurologiche agli Spedali Civili?
«Noi abbiamo riconvertito sedici posti letto neurologici in un’unità covid separata. In questo modo abbiamo potuto sempre garantire un doppio percorso e trattamento ai pazienti covid positivi e a quelli negativi, anche durante la fase più critica dell’emergenza. Tuttora è presente un percorso neurologico sparato per il paziente covid positivo e ciò garantisce da un punto di vista infettivologico il paziente negativo».