La rassegna, visitabile fino al 10 giugno 2018, si presenta come uno sguardo intim o nelle case dei bresciani. Si nota la mano esperta di Davide Dotti, curatore della mostra, che crea un fitto dialogo tra capolavori. Narrazione che non si esaurisce all’interno del singolo quadro, ma che si collega in un magistrale riassunto dell’arte italiana – in particolare bresciana – dagli inizi dell’Ottocento fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Si parte dal Neoclassicismo, vivido in dettagli (quali l’abbigliamento, le rovine antiche, la questione dei sepolcri) che si mischiano a lontane vedute di Brescia. Una ghirlanda di sensazioni che porta alla sala successiva, dove Angelo Inganni, artista per eccellenza della Leonessa, cattura l’essenza di una città in vedute ricche di rara sensibilità. Ci si sposta ideologicamente dall’Italia a Parigi, per immergersi nella Belle Epoque, che fece di De Nittis, Zandomeneghi e Boldini i suoi artisti prediletti. Il femminino invade le tele dei maestri con rappresentazioni di donne seducenti e misteriose. Il “trittico” che si compone è una ricerca della perfeziona femminile, dove figure sinuose danno le spalle agli occhi del pubblico. È questo il trait d’union dei tre capolavori: i volti si celano per lasciar spazio a qualcos’altro, un segreto racchiuso in pennellate d’indescrivibile bellezza e nascosto oltre l’opera, impossibile da raggiungere. Il tempo passa, le luci dorate di una Parigi visitabile in sogno lasciano spazio al Futurismo. Boccioni, Depero, Balla e molti altri s’inchinano di fronte agli altari di velocità, tecnica e futuro, schiacciando quella vena malinconica che caratterizzava l’800 appena concluso. Colori vigorosi e un dinamismo protratto all’inverosimile si alternano alla metafisica di Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, i quali cercano spunti capaci di andare oltre ciò che è tangibile. È della ricerca dell’ignoto che i fratelli De Chirico fanno la propria missione, oltrepassando i limiti dell’immaginazione. Morandi, per contrasto, si fa autore del “ritorno all’ordine” voluto dal Regime nel Ventennio, pur mantenendo una grande raffinatezza nel dipingere le sue nature morte. Gli anni del Novecento scorrono veloci, per giungere al capolavoro più affascinante: “Natura morta con testa di toro” di Pablo Picasso. Opera nata in un momento difficile per l’artista, complessa e ricca di dettagli per definizione, si compone di figure geometriche, sintomo di un progressivo abbandono della figurazione. L’ultima sezione è dedicata all’Arte Informale: Lucio Fontana e Piero Manzoni sono i due interpreti di una nuova corrente, destinata a cambiare per sempre la concezione di bellezza nell’arte contemporanea.