Proseguono senza sosta i disagi creati dal nuovo Coronavirus, non solo in ambito sanitario e sociale, ma anche in quello economico. A pagare il prezzo più alto sono i piccoli commercianti e le pmi, ma anche le aziende, ahimè, meno strutturate. Sono tante le ricette economiche portate avanti dalle associazioni di categoria, tra cui UnionAlimentari Brescia, che per mezzo del suo Presidente, Paolo Uberti, ha raccolto le istanze di quanti ogni giorno faticano sempre più ad andare avanti.
Patron di Trismoka, Uberti ha iniziato a collaborare nell’attività di famiglia sin dai primi anni novanta, partendo dal basso, perché la conoscenza dell’attività a trecentosessanta gradi è alla base del successo. Presente nel mercato nazionale ed estero, Trismoka è una realtà leader nel settore, con un’attenzione particolare alla qualità del prodotto ed alla formazione della professionalità degli addetti al settore, sempre nel rispetto dell’ambiente.
Presidente, fresco di nomina ha immediatamente dovuto mettere mano a situazioni emergenziali…
«Diciamo che sono capitato in un periodo non semplice. Subito dopo la mia elezione di metà dicembre, è scoccata la preoccupazione tra gli imprenditori e i commercianti per i casi di meningite che hanno colpito il basso Sebino. Per fortuna zero danni. Il guaio è arrivato poco più di un mese dopo, quando l’emergenza Covid-19 ha spinto il Governo ad un lockdown generale. Le aziende stanno soffrendo, ed è proprio qui che noi giochiamo un ruolo cruciale per l’economia della nostra provincia».
Di cosa si occupa precisamente UnionAlimentari?
«Siamo incentrati sulla tutela della produzione alimentare a trecentosessanta gradi, con un lavoro volto all’ascolto delle istanze e alla presa in carico delle stesse le quali, poi, sottoponiamo ai vari livelli istituzionali in base alla competenza».
Ad oggi la produzione alimentare sembra non abbia subito la crisi. È l’unico comparto che lavora…
«Certamente il comparto alimentare è anticiclico, e tutte le aziende che lavorano con la GDO (Grande Distribuzione Organizzata, ndr), o con le botteghe di quartiere, sono protette e stanno vivendo una situazione florida, tant’è che non sono state fatte chiudere per legge. Tuttavia ci sono altrettante industrie alimentari che della qualità del prodotto ne hanno fatto una ragione, e, lavorando direttamente con la filiera dell’HoReCa, la crisi la stanno subendo essendo da molti mesi con fatturato a zero. Per questo è necessario fare un distinguo anche in vista di aiuti, e non generalizzare sull’industria alimentare».
Dunque, come risolvere questo gap?
«Non basta una mera suddivisione in base al codice Ateco. Occorre prendere in considerazione i fatturati dei comparti, all’interno degli stessi codici Ateco».
Appurata la diminuzione del fatturato a causa della crisi, quali aiuti ritiene più efficaci?
«L’imprenditore bresciano non va alla ricerca di contributi e non è abituato a chiedere la carità. Oggi, però, per continuare a portare avanti il sogno e il lavoro esercitato in tanti anni di sacrificio, necessita di un aiuto concreto. Noi lo abbiamo individuato nella concessione di un contributo a fondo perduto differenziato, in relazione alla diminuzione del fatturato, da usare in azienda a discrezione del titolare, con soli due vincoli: l’impegno a mantenere aperta l’attività, ovvero a mantenere tutte le risorse umane in essa impiegate».
Il Governo, ad oggi, ha previsto dei finanziamenti a tassi agevolati…
«La forma del finanziamento credo non sia sufficiente. Nessun imprenditore vuole portare avanti la propria attività indebitandosi, senza colpa né merito».
Prima di salutarci, vuole lanciare un appello?
«Come Apindustria, di cui UnionAlimentari fa parte, ci siamo dati un obiettivo di responsabilità, lanciando l’appello “paga il fornitore”. Rispettare il più possibile gli im- pegni significa contribuire a far star bene l’intero settore. Infine, il mio auspicio è che le aziende alimentari bresciane che vogliano partecipare al miglioramento di tutto il comparto, mi contattino. Io sono più che disposto a coinvolgere tutti, il più possibile. Perché più siamo e meglio riusciamo a dare la giusta autorevolezza alla risoluzione dei problemi».
Stefano Bertazzoni